L’amico che in auto mi conduceva a Faenza allo studio di Andrea Cimatti mi informava che questo giovane artista, di cui non conoscevo le opere, per motivazioni familiari prima e per scelte personali poi, aveva trascorso molti anni all’estero: Cita del Messico, Miami, Londra e nuovamente negli. USA ove nel 1987 si era laureato in Belle Arti alla Cornell University di Ithaca, New York.
Chissà, pensavo, quali conseguenze artistiche avrà prodotto l’accavallarsi di queste esperienze in un giovane in via di formazione, proiettato in realtà tanto diverse da apparire a volte inconciliabili. Staccato prematuramente dalle proprie radici, forse si era trasformato, come altri, in apolide percorritore di vasti ma poco esplorati spazi entro i quali, frammentandosi senza possibilità di sedimento si diluiva la propria storia e si affievoliva senza rimedio la capacità di riassumerla e di riproporla. Mi intrigava tuttavia quel suo tornare insistente e periodico nella sua città natale ove, in uno studio provvisorio, rielaborava i numerosi dipinti eseguiti in “plein air” girovagando per i colli appenninici del faentino. Ero curioso di vedere con quale occhio, con quali mezzi e con quale tecnica avrebbe saputo affrontare quella grande sontuosa varietà paesaggistica che pochissimi, nel tempo, hanno saputo cogliere ed interpretare. Il sospetto del giovin signore, ben istruito all’uso dei pennelli, che ripercorre classici itinerari a cavallo fra folclore e reminiscenza, devo tuttavia confessare che, date anche le premesse, era in me sostanzialmente dominante.
Andrea Cimatti e un pittore paesaggista. Sta lontano dagli schematici e piatti vedutismi di cui sono piene le pia qualificate estemporanee come dalle estenuate e retoriche inquadrature di certa pittura di sapore tardo romantico. La sua è un’arte per amore, sorretta da un robusto impianto tecnico e da un vivace senso cromatico. Sotto questo profilo alcuni suoi dipinti ricordano brani paesaggistici del nostro miglior novecento padano (Morelli) tanto forti e densi di umori da parer definitivi. È un’artista che cerca e trova se stesso nei luoghi in cui e nato, nei verdi strepitosi e cangianti, nei brulli gialli calanchi dalle taglienti ombre violette, lungo i pendii variegati dal lavoro paziente, che vanno stemperandosi ed azzurrandosi verso l’orizzonte. Sotto questi cieli di cristallo non di rado graffiati da nuvole chiare, Andrea Cimatti scava tenacemente i fondamenti della sua storia, e con loro ci restituisce, sotto forma di immagine, un senso pia sicuro del presente. L’artista sta dentro i paesaggi e dall’interno ii dipinge di se stesso con efficacia e profonda convinzione.
In tempi incerti di cultura e di valori, di forsennati mutamenti, di esaltazione del macabro o del banale come approdi inevitabili di un’arte ormai data per morta e decomposta, trovo perlomeno confortante che giovani artisti, per giunta di cultura internazionale, riconoscano la necessità primaria dello studio e della ricerca, rinuncino al gusto imperante, facile ma superficiale, della “gag” e dell’improvvisazione, si liberino dai vincoli colonialistici assunti in nome e per conto di un mal compreso linguaggio dell’arte e viceversa ricerchino, con amore e testardaggine, le loro radici, ovunque esse siano.
In questa dimensione mi par di poter collocare l’opera di Andrea Cimatti, eccellente per pulizia formale, viva per splendido cromatismo e attuale quanto basta per raccontarci ancora una volta che in fondo, per ciò che realmente resterà di noi, nulla è cambiato.
-Carlo Polgrossi
Bagnacavallo, 1 luglio 1993